Modello redditi & cripto. Quando sono tassate le plusvalenze?

Come funziona la tassazione per le plusvalenze che derivano dall’acquisto e dalla vendita delle criptomonete? Si tratta di una questione di non secondaria importanza e che attira l’interesse di un gran numero di investitori.
Il tema è dibattuto, anche perché c’è un problema di fondo che può rappresentare un ostacolo: il fatto che le criptomonete ancora non esistevano quando sono state redatte le sezioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che parlano dei redditi di capitale e dei redditi differenti, e che pure disciplinano la tassazione dei redditi in maniera molto chiara.

Che cosa dice la giurisprudenza

Per il momento, dunque, il principale riferimento normativo che funge da bussola è rappresentato dalla giurisprudenza o al massimo dai chiarimenti di prassi fra cui ci si deve districare, anche se la speranza, comune sia agli investitori che agli addetti ai lavori, è quella di un prossimo intervento legislativo, magari da attuare in contemporanea con la riforma fiscale che dovrebbe vedere la luce proprio nei prossimi mesi.
L’auspicio è che si opti per un trattamento univoco dei redditi di tipo finanziario, anche per mettere da parte l’ambiguità che caratterizza la suddivisione fra i redditi di capitale e i redditi diversi. Si ipotizza, inoltre, che la tassazione dei redditi correlati alle monete virtuali possa essere tipicizzata.
Per capire in che modo vengono e devono venire tassate le plusvalenze che scaturiscono dalla compravendita di monete virtuali è necessario tenere conto ciò che ha indicato a tal proposito l’Agenzia delle Entrate, secondo la quale le monete digitali devono essere assimilate alle valute straniere per ciò che riguarda l’imposizione fiscale e, di conseguenza, per gli adempimenti che ne derivano.

Le contestazioni

Va detto che tale impostazione è stata anche criticata da più parti. Tuttavia in tale ambito la polemica non sembra aver senso di esistere, almeno da un punto di vista normativo. È chiaro, infatti, che le monete digitali non rappresentano né una valuta italiana né una valuta straniera.
Ecco perché non è previsto uno specifico trattamento fiscale, il che impone di dover assimilare – per forza di cose – una delle due fattispecie, fermo restando che non si può definire corretta nessuna delle due. Ecco perché c’è bisogno di un intervento in merito da parte del legislatore, e nell’attesa non si può far altro che tenere conto dell’orientamento della prassi e della giurisprudenza.

Le chiavi normative

La lettera c-ter del primo comma dell’articolo 67 del TUIR indica che devono essere ritenuti redditi diversi imponibili tutte le plusvalenze che vengono ottenute per mezzo della cessione di valute estere a titolo oneroso, siano esse rivenienti da conti correnti o depositi, siano esse oggetto di cessione a termine.
Questa è una delle due chiavi normative più importanti in relazione alla tassazione delle plusvalenze che derivano dalla compravendita di monete straniere effettuata da persone fisiche che non svolgono attività di impresa.
L’altra chiave normativa si ritrova sempre nell’articolo 67 del TUIR, al comma 1-ter, dove viene specificato che le plusvalenze che si ottengono con la vendita a titolo oneroso di monete estere rivenienti da conti correnti e depositi devono essere prese in considerazione per la formazione del reddito, a patto che la giacenza dei conti correnti e dei depositi nel periodo di imposta sia di oltre 100 milioni di lire – vale a dire 51.645,69 euro – per almeno 7 giorni lavorativi di seguito.

Come comportarsi

Se si prende la norma alla lettera si intuisce che le operazioni di compravendita di valuta estera rappresentano reddito imponibile unicamente nel caso in cui la giacenza totale supera l’importo a cui abbiamo fatto cenno per 7 giorni lavorativi.
Ad ogni modo, la prassi e la giurisprudenza comprendono la chiave speculativa nella variabile valutativa dell’imponibilità; si tratta, in altri termini, della finalità speculativa che doveva essere conseguito dal contribuente.

La sentenza 1505/2/2021

Sul tema è intervenuta di recente la Commissione tributaria Regionale del Veneto con la sentenza 1505/2/2021 del 6 dicembre dello scorso anno. L’ipotesi del contribuente era che non si dovessero ritenere imponibili le plusvalenze ottenute dalla vendita di bitcoin. Invece, per la CTR, le plusvalenze devono essere considerate imponibili in quanto la loro rilevanza economica mette in evidenza la sussistenza di una finalità speculativa assolutamente significativa.